Pescatori? No, baghin da mer!

Con questo “insulto” venivano chiamati un tempo i marinai di Cattolica

Nel periodo in cui il nostro paese era una borgata di pescatori, con una economia basata sulla pesca, esercitata da una numerosa marineria di barche a vela, i pescatori, la maggior parte analfabeta o quasi, erano chiamati “baghin da mer”, perché:

  1. tutto quello che aveva attinenza e si svolgeva attorno all’ambiente marinaro era apocalittico, incominciando dal disagio di dover vivere nella buia stiva di una barca da pesca priva di luce solare, nella quale ci si poteva muovere a tentoni e a capo chino, senza nemmeno un buco dove ripararsi per soddisfare i propri bisogni corporali e quello dove cucinare;
  2. di essere sempre in mare per essere pronti a pescare quando c’era il vento e il mare favorevoli;
  3. per il tipo di lavoro da svolgere, duro e disumano, specialmente d’inverno, quando nelle lunghe interminabili nottate dovevano, per più volte, calare e salpare le reti e cemire il pesce: esposti al vento e al freddo e alla pioggia, in un buio che non si poteva nemmeno bestemmiare.

Il mestiere del pescatore, tramandato da generazioni in generazioni, era il retaggio di misera gente sfruttata dagli armatori che al momento della paga deponevano il pugno ciò che era proprio tornaconto e faceva ritornare giusta mercede, in quanto i pescatori erano una categoria di lavoratori non organizzati e privi di ogni elementare diritto.

Le condizioni sociali estremamente misere e avvilenti ebbero una svolta determinante con la fondazione della “Casa del Pescatore”, primo sindacato della Lega, nonostante gli impedimenti degli armatori. In seguito riuscirono ad istituire la “Cassa Mutua” per assistere gli associati in casi di infortuni e malattie, per sottrarli alla mercé della umiliante e pubblica carità, creando in seguito anche un fondo per la pensione di vecchiaia,prima ancora che entrasse in vigore la Previdenza Sociale per i pescatori.

Con l’importante traguardo di essere la prima marineria organizzata tra pescatori in Italia, si è anche chiusa un epoca tristemente famosa di sfruttamento come singoli e di averne aperta un’altra con altri valori umani e morali. E la certezza di avere creato una collettività di lavoratori uniti e liberi di decidere e risolvere i loro problemi secondo i propri interessi e la consapevolezza di essere entrati a far parte del contesto cittadino dal quale erano sempre stati estraniati come emarginati, dei sottosviluppati: buoni solo per essere sfruttati.

di Elvino Galluzzi

 

La Piazza di Rimini – Giornale di Cattolica

(Foto – Archivio fotografico Centro Culturale Polivalente di Cattolica)

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