Santi, vita per la ceramica d’arte

Luigi Santi (1907-1981) Ceramista e disegnatore

Il laboratorio (dal 1967 in via Ferrara) dava lavoro nei momenti di massima produttività a circa 20 operai,
tornianti e decoratori, i primi provenienti soprattutto dall’area di Civita Castellana e Gualdo Tadino e i secondi da Faenza

Sensibile interprete di scene di genere dove protagonista è la gente di strada, del circo,
le comari, i pensionati, i pescatori, i bevitori d’osteria, i saltimbanchi, i cacciatori

Malgrado una vita trascorsa in Romagna, tra Rimini e Faenza, l’accento laziale è ancora forte,  connaturato; come lo sono i profondi legami con quella terra di Tuscia, nel viterbese, dove Gian Franco Santi, classe 1936 è nato ed è cresciuto sino agli anni dell’adolescenza. E’ lui, artista ed espertissimo ceramologo a raccontarci dell’avventura umana ed artistica del padre Luigi Santi, cui deve la passione e l’inclinazione per l’arte della ceramica.

Faentino di origine e per temperamento, come sottolinea il figlio, Luigi, nato nel 1907 era “ceramista integrale per scelta di vita, capacità e creatività”. Luigi Santi si era formato a Faenza allo storico istituto Ballardini dove era stato discepolo dello scultore Domenico Rambelli.

Poi nel 1927 si trasferisce a Civita Castellana per approfondire la tecnica nelle locali fabbriche specializzate nella ceramica. L’intero comprensorio già allora è famoso per la fiorente produzione ceramica (celebre nell’antichità quella falisca del IV secolo a.C. di imitazione attica, ma anche nell’età moderna  per i decori come il motivo a ‘ticchiolo’ e la tecnica cosiddetta a ‘stoffa’) e godeva di una  ricchezza insuperabile di argille legate alla attività vulcanica dell’area (come le lave leucitiche e il tufo rosso).

Nel 1931 Santi sposa Elvira Ciampicacigli da cui avrà tre figli. A Civita dopo il 1947 in società con Pellegrini crea un proprio laboratorio che dava lavoro a una dozzina di addetti.
Il ritorno in Romagna diventa possibile con il progetto di uno stabilimento ceramico a Miramare aiutato e spinto da Goffredo Biancoli, poi suo socio, e consulente ceramico.
Nel 1952 l’azienda prende il nome di Ceramica Riminese. A Miramare in via Lisbona (traversa di Viale Oliveti) dove ha sede confluiscono maestranze specializzate provenienti dai diversi centri ceramici specie dell’Italia centrale, diviene ben presto un centro aggregativo di scambio culturale e tecnico, punto di riferimento per i cittadini e i turisti attratti dal valore artistico e funzionale delle ceramiche.

Tuttavia dopo anni di lavoro e di sacrifici nel 1961 Luigi Santi chiuse il laboratorio di Miramare, tra non pochi compromessi e difficoltà. Da quella data trasferisce la sua attività a Cattolica, prima in via Nazionale Adriatica in ampi locali (oggi corrispondenti al grande negozio di giocattoli che si affaccia sulla stessa strada) poi a partire dalla fine del 1967 in via Ferrara.

Il laboratorio di Cattolica dava lavoro nei momenti di massima produttività a circa 20 operai, tornianti e decoratori, i primi provenienti soprattutto dall’area di Civita Castellana e Gualdo Tadino e i secondi da Faenza. La produzione era incentrata sulla ceramica artistica che garantiva il mantenimento di due negozi per la vendita al dettaglio con particolare riferimento alla utenza turistica che d’estate  riversava attenzione alle cose d’arte, per investimento e per souvenir: uno in piazza 1° Maggio e un secondo a Gabicce Mare, entrambi retti lungamente (1967-2000) dalla figlia Gabriella Santi che negli anni riminesi si era occupata degli aspetti logistici e delle spedizioni in tutta Italia delle ceramiche Santi.

Creativo, gioviale, incline alla facezia nelle sue relazioni esterne quanto forse introverso nei momenti più riflessivi, Luigi Santi rappresenta una figura di artista talentuoso e istintivo nel tratto e nel segno, e soprattutto nell’inventiva e nella perizia  con cui trattò la ceramica. Del tutto fuori dalle diatribe e dalle relazioni che imperversavano in Romagna negli anni ’50-’60 sui temi d’arte, tra fazioni di figurativi e astrattisti, Santi incarna senza confronti diretti, libero nella sua bottega, il ruolo dell’artista-artigiano.

L’occasione offerta oggi tramite la disponibilità degli eredi e dei collezionisti di poter esporre  alcune delle opere ceramiche e una parte del copioso ed inedito corpus di disegni originali rappresenta sicuramente un momento importante di riscoperta e di valorizzazione di questo artista.

L’intero percorso dell’attività di Santi è attraversato da energia spontanea e ironia, nutrendo sempre la propria naturale manualità con una fantasia curiosa e bizzarra.

Veloci disegni a punta di china, a matita, a volte irrorati di carboncino o acquerellati: il segno di Santi che ha un corrispondente figurativo irriverente e divertito possiede una cifra personalissima, è sciolto, costruito su una tecnica capace di piccoli virtuosismi. Sin dalla fine degli anni ’40 si mostrò sensibile interprete di ‘scene di genere’, macchiette e figure che caratterizzano la sua estrosa produzione: è la gente di strada, del circo, le comari, i pensionati, i pescatori, i bevitori d’osteria, i saltimbanchi, i cacciatori che entrano vivaci e burleschi in un repertorio traducibile anche per le decorazioni ceramiche, un ‘teatrino’ della vita privo di retorica ma nutrito di ironia e di affetto. E di qualche malinconia.

di Annamaria Bernucci
Direttrice della Galleria
comunale S. Croce  di Cattolica
 
Tratto da La Piazza della Provincia
Cattolica – dicembre 2010
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